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Quand’è
che c’era la comunità? Forse quando eravamo bambini e tutto ci sembrava come
immerso in un’ampolla colorata? O forse quando gli uomini hanno iniziato il
loro delirante valzer intorno all’io?Io
non l’ho mai vista questa comunità, ho ascoltato racconti, tante storie sul mio
paese, ho visto le donne la domenica mattina prepararsi per andare a messa e
sedersi nei primi banchi in chiesa, e gli uomini arrivare dopo, col cappello in
mano, stare dietro, in fondo, come se quello che accadeva non fosse affar loro.
Ho visto i funerali con la banda e le prefiche che si lamentavano per morti
tutte annunciate e ho visto le veglie funebri intorno al letto del morto, volti
scuri, pianti imprecisi, scialli neri.Poi
ho visto i piccioni nelle gabbie con le ali spuntate per non farli volare, e i
conigli, coi musi tremanti, che aspettavano solo la domenica, e loro nemmeno
sapevano che c’era la domenica. E ho sentito le gambe che si irrigidivano
mentre la contadina mi dava da stringerle e lei gli tagliava la gola a quel
coniglio bianchissimo.La
comunità i paesi, la civiltà contadina. Non mi incantate più con la nostalgia
del ricordo, non mi avete mai incantata. Vedevo l’uomo vicino al camino, dopo
il lavoro nei campi, che ruttava e bestemmiava per la fatica e la donna che
ancora non smetteva di lavorare, che mangiava in piedi, vicino ai fornelli,
come un mulo.Sentivo
la puzza di morte, di sangue che appestava le case e la merda che invadeva ogni
angolo, la mungitura delle vacche alle sette di sera, il sapore di quel liquido
bianco sottratto ai vitelli per pascere noi, i figli dei padroni, larve
piagnucolose e isteriche.Hanno
detto che il lavoro era la sola libertà, la sola libertà è non fare niente, non
vendere niente, non avere nulla da vendere.Dicono:
la conoscenza è libertà, la parola è libertà. Tutti prodotti umani che dobbiamo
in qualche modo smerciare con altri umani.Ma
non lo sentite lo strazio che viene dal resto, da tutto quello che noi crediamo
di guardare e non vediamo con i nostri occhietti piccoli, fumosi, di
superficie?La
terra non è la zolla sollevata dal trattore, quella è una parte, una minuscola
parte di un mondo che non possiamo vedere, e allora sventriamo, distruggiamo,
scaviamo. Noi riusciamo a distruggere le montagne, noi non abbiamo limiti, non
vogliamo averne su questa terra.Vogliamo
ogni giorno dimenticare il nostro limite inesorabile, la nostra finitezza e per
farlo dobbiamo uccidere, consumare, distruggere, violare.Ma
quale comunità? Quella forse dove le donne chinavano il capo davanti al marito,
venivano vendute come oggetti con tanto di lista dotale? Quella dove non
potevano passeggiare da sole per strada a meno che non erano pazze o puttane?Comunità:
chiusura, nucleo, limite, esclusione. Questo e solo questo è comunità.Io
sono di grotta, voi no, quelli di melito sono mangiarospi, quelli di ariano
sono cornuti, quelli di mirabella sono ebrei perché fanno il mercato la
domenica. Questa è la comunità.La
tradizione, i matrimoni combinati, le coppie spente e grigie senza sorrisi,
senza furori, senza felicità da esibire. Solo miseria e miseria, materiale e
spirituale. Solo giudizi e sguardi di traverso e litanie e riti.E
cani randagi magri, con le ossa da fuori, a cui non si gettano gli avanzi della
domenica, la solita domenica con la solita carne per dimostrare il benessere.
Resti che avrebbero sfamato animali morti di freddo e di fame, resti gettati
nel sacchetto dell’umido perché da noi si fa la differenziata, a Napoli no.Comunità?
Contadini con le pezze al culo che vendevano pure l’anima al farmacista e al
medico di paese, sempre a testa bassa, sempre a ubbidire davanti e a
bestemmiare da dietro. Servi dei servi.Mai
un gesto comune, mai il bene comune, solo litigi per un confine, litigi fra
fratelli, come fra caino e abele.Comunità,
non è stato il terremoto a portarcela via perché non c’era mai stata. Pure
sotto le macerie abbiamo cercato di salvare prima i nostri “cari” e poi, perché
ci capitavano davanti, gli altri.Questo
non è bene, questo non è amore. Questo è solo l’osceno spettacolo di una specie
che si preserva, che non vuole estinguersi e che si riconosce nella legittima
prole, si intenerisce per quattro adolescenti asfittici e morti e non alza un
dito per chi, adesso, ora, sta morendo altrove.Ci
hanno insegnato a stare dentro i nostri recinti, come noi facciamo con le
pecore. E noi lì dentro, solo lì dentro scalpitiamo, ma, quando arrivano i
macellai, abbassiamo lo sguardo e ci facciamo sgozzare e ci addoloriamo solo
per la nostra fine, solo per noi che finiamo.
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In questi giorni si stanno svolgendo le prove orali del concorso a cattedre, le prove, come molti di voi sapranno, si basano sulla progettazione e la realizzazione di un'unità di apprendimento, il cui argomento viene sorteggiato dal candidato il giorno prima della prova.Alcuni brevi consigli.1, Non iniziate con la solita lagna dell'inutilità delle TIC. La rete è un'enorme fonte, democratica, di conoscenza e di saperi, quindi utilizzatela e niente storie.2. I vostri power point, o le vostre presentazioni, in qualsiasi formato esse siano ( mi raccomando di evitare le famose lenzuolate di testo illegibile...!), dovranno essere calibrate su un'ipotetica classe, quindi niente inutili tirate teoriche ma pratica didattica applicata all'argomento che avrete in sorte, in un'ottica sempre, dico sempre, interdisciplinare.3. Il punto fondamentale dal quale partire sempre è l'analisi dei bisogni formativi del contesto classe in cui immaginate di operare, ergo non volate troppo alto, i ragazzi non sono studiosi di italiano o di diritto o di storia,4. Non date per scontate le competenze e le conoscenze pregresse ma prevedete sempre azioni di recupero e di rinforzo.5. Concentratevi sulla trama epistemologica della tematica in questione, evidenziando concetti chiave, parole chiave. ( es. Se debbo parlare della resistenza in Italia, la prima parola chiave sulla quale mi soffermerò sarà il concetto di Resistenza). Al tempo stesso, non vi chiudete nella turris eburnea della disciplina, ricordate la vostra funzione primaria e cercate di essere il più aperti possibile alla multidisciplinarietà ed alla collaborazione con i vostri colleghi.6. Utilizzate con sapienza e con criterio ciò che già sapete e siate chiari, schematici e concreti, pur rimanendo fermi sulle vostre posizioni di pensiero in campo pedagogico. Rendetele chiare nella loro concreta applicazione.7. Ricordatevi che la scuola pubblica è soprattutto scuola dell'inclusione, quindi date spazio ai BES ed ad ogni ipotetica situazione di disabilità o anche solo di disagio.8. Prevedete molte lezioni laboratoriali ma vere, ossia lezioni in cui tutti insieme si effettuano ricerche, si discute di ciò che si è trovato, si fa differenza su cosa è utilizzabile e cosa no.9. Non dimenticate mai la trasversalità della disciplina "Cittadinanza e Costituzione" e fate riferimento ad essa negli obiettivi.10. Pensate di avere davanti a voi degli alunni e non una commissione, la vostra è la progettazione di un'UDA, pensate ai ragazzi, quindi.in bocca al lupo!!!